Da Messina a Cefalù
Sulla costa del Tirreno, dove la storia diventa sapore
© Testi Maria Cristina Castellucci Fotografie Alfio Garozzo
Da Messina si passa. Di fretta, magari, perché in viaggio verso il “continente” o verso altre destinazioni isolane.
È così da sempre, e su questo costante passaggio tra Occidente e Oriente, Nord e Sud la città ha costruito per secoli la sua fortuna e la sua gastronomia: un campionario di sapori che sono nati, forse, siculi e poi si sono trasformati. O viceversa. Il pisci stoccu, ad esempio, lo stoccafisso, lo portarono con ogni probabilità i Normanni, ma la preparazione alla messinese, la “ghiotta”, col pomodoro, le patate, gli aromi, i capperi, non ha proprio nulla di nordico. Per assaggiare questa pietanza, pur in una versione rivisitata, si va alla Marina del Nettuno, il regno dello chef Pasquale Caliri. La sua è una “ghiotta che non ti aspetti”, dove le patate diventano una spuma e le chips di pera lasciano in bocca una sensazione fresca e un po’ esotica. I piatti di Caliri, del resto, sono tutti così: semplici ma con un tocco di originalità e un nome evocativo. Cose come “Il senso della ricciola per la melanzana” o “La triglia che abboccò al fegato”, dove il pesce si accompagna a foie gras vegetale e mollica tostata. Quella di Messina è una gastronomia legata al mare, né potrebbe essere altrimenti, ma non c’è solo questo.